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Licenziamento per mancanza di lavoro

La crisi aziendale può costituire un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

I cicli economici e l’andamento del mercato globale coinvolgono le aziende determinando oscillazioni nei fatturati che possono costringere gli imprenditori ad adottare scelte di riorganizzazione aziendale al fine di perseguire un profitto o contenere le perdite.

L’azienda può quindi decidere il proprio riassetto organizzativo anche procedendo a una razionalizzazione del personale e a licenziamenti per mancanza di lavoro di uno o più dipendenti.

Una congiuntura economica sfavorevole può quindi costituire il fondamento per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

 

Che cos’è allora il licenziamento per mancanza di lavoro?

La Costituzione, all’art. 41, riconosce e tutela la libera iniziativa economica privata ponendo come unico limite il rispetto dell’utilità sociale. L’imprenditore resta quindi libero di gestire come ritiene più opportuno la propria azienda, assumendo decisioni in merito al riassetto organizzativo e alla razionalizzazione dei mezzi produttivi.

Rientra pertanto tra le facoltà di un imprenditore anche quella di licenziare uno o più dipendenti, decidere quali lavoratori sono più utili alla produzione e chiudere o ridurre reparti e linee produttive.

 

La crisi aziendale: quando è possibile licenziare

Come abbiamo visto un’azienda può attraversare momenti di crisi, anche senza essere costretta al fallimento o alla cessazione dell’attività che rappresentano spesso un caso estremo.

La legge non indica espressamente la mancanza di lavoro come uno dei casi che rendono lecito il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ma la giurisprudenza è intervenuta con diverse pronunce, anche specificando che il mero conseguimento di un profitto costituisce motivo valido per una razionalizzazione dei costi e delle risorse produttive.

A fronte di un calo di fatturato, di una riduzione delle commesse o di condizioni sfavorevoli l’impresa può quindi trovarsi ad avere un surplus di dipendenti che “pesano” sui bilanci e rappresentano un problema nel rapporto tra costi e benefici.

A causa di una contrazione della produzione o dell’attività aziendale l’impresa potrebbe essere costretta a ridurre le proprie dimensioni, ad esempio chiudendo quei reparti o quelle sedi che non concorrono più in modo significativo al fatturato. I dipendenti che vi prestano la propria opera potrebbero quindi essere licenziati per giustificato motivo oggettivo, qualora non vi siano i margini per destinarli ad altre mansioni all’interno dell’organigramma aziendale.

Anche l’innovazione tecnologica può rappresentare una premessa per una razionalizzazione dei mezzi produttivi. Si pensi al caso di un’azienda che innova i propri processi introducendo macchine o utensili che svolgono la stessa mansione di uno o più dipendenti che risulteranno quindi inutili.

 

I limiti per il datore di lavoro: l’onere della prova

La legge riconosce sì un’ampia libertà di scelta all’imprenditore ma pone a suo carico l’onere della prova per dimostrare che il provvedimento di licenziamento per giustificato motivo oggettivo trova riscontro nell’andamento economico-finanziario dell’azienda.

Se il datore di lavoro intende procedere al licenziamento di almeno 5 dipendenti in un periodo di 120 giorni si parla di licenziamenti collettivi e sarà necessario trovare un’intesa preliminare con i sindacati dei lavoratori, finalizzata a definire i limiti, i parametri, il numero dei dipendenti da tagliare.

In tutti gli altri casi il datore di lavoro potrà procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ma dovrà poter dimostrare che il provvedimento si basa su circostanze effettive e non pretestuose. Nel caso in cui la motivazione addotta sia un calo del fatturato che non trovi riscontri nei bilanci societari il licenziamento sarà nullo. Lo stesso si può dire nel caso in cui il datore di lavoro utilizzi la mancanza di lavoro per disfarsi di un lavoratore indesiderato e affidi le sue mansioni a un altro dipendente o assuma al suo posto un altro soggetto.

Per le aziende di grandi dimensioni – con più di 60 dipendenti o con unità produttive di oltre 15 dipendenti – il datore di lavoro che intenda licenziare deve dare avvio a una procedura davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro specificando le motivazioni del licenziamento. La Direzione Territoriale del Lavoro convoca il datore e il lavoratore e procede a una conciliazione che può concludersi con il licenziamento o sfociare in una causa di fronte al Giudice del lavoro.

Per le aziende con meno di 15 dipendenti il datore di lavoro deve invece portare a conoscenza del lavoratore, mediante comunicazione scritta, l’intenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e indicare le cause che hanno condotto al provvedimento.

Il lavoratore, qualora si senta vittima di un licenziamento illegittimo, può impugnare il provvedimento nei 60 giorni dal ricevimento della lettera di licenziamento e avviare una causa entro i 180 giorni successivi, limitandosi a indicare come non siano esistenti le cause del licenziamento.

Sarà pertanto il datore di lavoro a dover fornire la prova della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto alla mancanza di lavoro, al calo del fatturato o a un riassetto dell’organizzazione aziendale.

 

La tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro: il repêchage

Il datore non può procedere arbitrariamente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di mancanza di lavoro. Dovrà prima verificare che il dipendente non possa essere adibito ad altra mansione di pari livello contrattuale, senza alcuna riduzione dello stipendio. Se questo non fosse possibile in alcun modo allora potrà procedere al licenziamento, comunicandolo al dipendente.

Nei casi in cui i ruoli dei dipendenti sono interscambiabili la scelta sul lavoratore da licenziare deve essere fatta applicando i criteri fissati dalla legge per i licenziamenti collettivi, privilegiando l’anzianità di servizio, la presenza di carichi familiari e le esigenze tecnico-produttive e organizzative.

 

Il licenziamento illegittimo

La disciplina e il regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti illegittimi sono stati profondamente modificati dalle riforme susseguitesi nell’ultimo decennio.

Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 (entrata in vigore del Jobs Act) il lavoratore che venga riconosciuto dal giudice come destinatario di un provvedimento di licenziamento illegittimo beneficerà di una indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità ma il rapporto di lavoro si interromperà comunque. Soltanto nel caso in cui le ragioni poste alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo risultano infondate può essere disposta la reintegrazione del lavoratore nel suo posto.

Il Jobs Act ha previsto una disciplina diversa per chi è stato assunto, con contratto a tempo indeterminato, dopo il 7 marzo 2015. Il giudice, ravvisata l’illegittimità del licenziamento, disporrà il pagamento di un’indennità risarcitoria che non potrà mai essere inferiore alle 4 mensilità e non superiore alle 24 mensilità e non potrà essere assoggettata a contribuzione previdenziale.

Per le aziende di piccole dimensioni – con meno di 15 dipendenti – il regime sanzionatorio è lo stesso ma le indennità risarcitorie sono ridotte della metà con il limite delle sei mensilità.

La legge riconosce inoltre al datore di lavoro alcune modalità per evitare l’impugnazione procedendo, ad esempio, alla revoca del licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione stessa. Il rapporto di lavoro si intende ripristinato come se nulla fosse successo e il dipendete ha diritto a ricevere la retribuzione maturata.

Nel termine dei 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro può offrire al lavoratore licenziato una somma che non potrà mai essere inferiore a 2 mensilità e superiore a 18 che dovrà essere versata attraverso un assegno circolare. Qualora il lavoratore accettasse tale offerta il rapporto di lavoro si considera estinto.

 


Fonti normative

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