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Il TFR in caso  di licenziamento per giusta causa

Quali sono le modalità, i tempi e i parametri per la liquidazione del Tfr in caso di licenziamento disciplinare per gravi inadempimenti contrattuali?

  1. Il Trattamento di fine rapporto nella disciplina del licenziamento per giusta causa
  2. Il Tfr dopo il licenziamento per giusta casua: tempi e modalità di erogazione
  3. Il Jobs Act e l’incostituzionalità del criterio dell’anzianità di servizio

L’ordinamento giuridico italiano in materia di risoluzione del rapporto del lavoro prevede tre tipologie di licenziamento: il licenziamento per giusta causa, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Le prime due tipologie rientrano nella più ampia categoria del licenziamento disciplinare, forma di sanzione per i comportamenti del lavoratore che ledono l’interesse del datore e dell’azienda o che costituiscono un grave inadempimento dei doveri previsti dal contratto. La terza tipologia si basa invece su circostanze oggettive come la riorganizzazione dell’azienda o uno stato di crisi.

Il licenziamento per giusta causa è la forma più grave di licenziamento disciplinare che va infatti a sanzionare quelle condotte, quei comportamenti o quei fatti commessi dal dipendente all’interno dell’azienda e durante l’orario di lavoro – ma in alcuni casi anche al di fuori – di una portata tale da inficiare il vincolo fiduciario che si instaura con il datore di lavoro e che costituisce la base del contratto di lavoro subordinato e suscettibili di costituire un evidente inadempimento degli obblighi contrattuali.

Il datore di lavoro, in caso vi siano gli estremi per un licenziamento per giusta causa, non è obbligato a concedere alcun preavviso – per questo si parla comunemente di licenziamento “in tronco” – e non è nemmeno tenuto a versare un’indennità al lavoratore licenziato.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo tende invece a sanzionare quelle condotte che costituiscono comunque un inadempimento dei doveri contrattuali ma non così gravi da determinare l’improvvisa e brusca interruzione del rapporto. In questo caso il datore di lavoro è tenuto a rispettare un preavviso per la comunicazione del licenziamento che può diventare effettivo dopo un certo periodo di tempo durante il quale il lavoratore può continuare a prestare la sua opera.

Il Trattamento di fine rapporto nella disciplina del licenziamento per giusta causa

Prima di esaminare se e quando spetti il Trattamento di fine rapporto in caso di licenziamento occorre spiegare che cosa si intende per Tfr.

Il Tfr, acronimo appunto di Trattamento di fine rapporto, anche conosciuto come liquidazione non è, o almeno non è più, un’indennità corrisposta a compensazione del licenziamento come era realmente in origine.

Si tratta di un importo composto da una parte della retribuzione del lavoratore che viene accantonata e versata mensilmente ma la cui liquidazione è differita al momento in cui il rapporto di lavoro si risolve. Fanno eccezione i casi in cui il lavoratore abbia richiesto di ricevere il Tfr in busta paga – ma questo dal 2018 non è più consentito -, abbia chiesto un’anticipazione o abbia deciso di destinarlo a un fondo di previdenza complementare. Quanto agli importi e all’entità del Tfr, ogni anno un lavoratore matura circa un importo pari alla retribuzione imponibile divisa per 13,5.

Che cosa succede in caso di licenziamento? Trattandosi di un importo che compone la retribuzione del dipendente e viene riportato mensilmente in busta paga il Tfr è un diritto acquisito del lavoratore che non può in alcun modo essere negata.

Sia in caso di dimissioni volontarie o per giusta causa, sia nel caso di licenziamento per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo e giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro è obbligato a liquidare il Tfr al lavoratore e non può in alcun modo opporsi.

A sancirlo è l’art. 2120 del codice civile che stabilisce: “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto”.

Non vi è pertanto alcun motivo che legittimi un datore di lavoro a ritardare il pagamento o a rifiutarsi di liquidare il Trattamento di fine rapporto, anche in caso di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Il Tfr dopo il licenziamento per giusta causa: tempi e modalità di erogazione

Il licenziamento per giusta causa non modifica il diritto del lavoratore al percepimento del Trattamento di Fine Rapporto, dovuto in base al calcolo e alle modalità previste dal contratto di lavoro. Come suggerisce il nome il Tfr deve essere necessariamente corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro. Qualora nel contratto non sia stato specificato un termine diverso per il versamento del Tfr il lavoratore può esigerlo immediatamente, all’atto del licenziamento o delle dimissioni.

Può accadere che il datore di lavoro ritardi o addirittura rifiuti di corrispondere al lavoratore licenziato per giusta causa il Tfr. In tale caso il lavoratore può, come primo atto, inviare al datore di lavoro un sollecito formale per richiedere il versamento immediato del Tfr.

Se il datore continua a rifiutarsi il lavoratore può rivolgersi alla Direzione Provinciale del Lavoro per esperire un tentativo di conciliazione, simile a quello contemplato per l’impugnazione del licenziamento.

Se la conciliazione si conclude con esito positivo viene redatto un verbale che costituisce titolo esecutivo e che legittima, eventualmente, il creditore a promuovere azioni di esecuzione forzata nei confronti della controparte.

Nel caso in cui non venga raggiunto un accordo e il datore continui a rifiutarsi di erogare il Trattamento di fine rapporto al dipendente licenziato questi ha la possibilità di rivolgersi al Tribunale per chiedere che venga emesso un decreto ingiuntivo.

Per ottenere questo dovrà semplicemente presentare e depositare le buste paga e un computo dell’importo del Tfr elaborato da un consulente del lavoro. Dal momento in cui gli viene notificato il decreto ingiuntivo il datore di lavoro ha 40 giorni di tempo per ottemperare o per presentare un’opposizione alla pretesa del lavoratore. Anche il decreto ingiuntivo è un titolo immediatamente esecutivo che espone il datore di lavoro a procedure di esecuzione forzata.

La legge italiana in materia di Trattamento di fine rapporto non indica espressamente un termine entro il quale questo deve essere tassativamente versato dal datore di lavoro ma si limita a specificare che si tratta di un diritto del lavoratore ottenere la liquidazione del Tfr.

Alcuni contratti collettivi nazionali prevedono termini precisi entro i quali deve essere corrisposto il Trattamento di fine rapporto. Va tuttavia tenuto conto che la rivalutazione del Tfr può essere espletata soltanto decorso almeno un mese dalla cessazione del rapporto di lavoro e questo allunga spesso i tempi di liquidazione dell’importo.

In caso di ritardo oltre i termini stabiliti dai contratti collettivi nazionali il lavoratore ha diritto a vedersi riconosciuti anche gli interessi del 2% superiore al tasso di sconto.

Il Jobs Act e l’incostituzionalità del criterio dell’anzianità di servizio

Il Decreto Legislativo 23/2015, meglio conosciuto come “Jobs Act”, recante modifiche alla disciplina dei rapporti di lavoro e in particolare dell’articolo 18 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) ha introdotto alcune novità, tra cui l’anzianità di servizio in funzione di criterio per il calcolo del Trattamento di fine rapporto.

Con una recentissima pronuncia che deve ancora essere depositata la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale tale criterio, stabilendo che non può essere il solo parametro utile a determinare l’importo del Tfr.

Il giudice costituzionale ha sottolineato come tale criterio sia troppo rigido e come abbia introdotto un automatismo illegittimo nel calcolo del Trattamento di fine rapporto. La pronuncia della Consulta interessa in particolare la norma che disciplina le modalità di determinazione ed erogazione del Tfr in caso di licenziamento affetto da vizi di forma o di procedura.

Tocca ora al Parlamento intervenire sulla norma per modificarla sulla base della pronuncia della Corte Costituzionale.

Autore: Dr.ssa Katia Trevisan

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