Cos'è il Licenziamento Disciplinare e quando si verifica? Scopriamo insieme quali conseguenze comporta per il dipendente e cosa prevede la legge.
Il licenziamento è il provvedimento, adottato dal datore di lavoro, che pone fine unilateralmente al rapporto di lavoro subordinato.
Il licenziamento disciplinare è la forma più grave e severa delle sanzioni disciplinari che il datore di lavoro può comminare al dipendente nel caso in cui questi venga meno ai propri obblighi, commetta illeciti sul posto di lavoro o leda in modo considerevole i principi di diligenza, obbedienza e fedeltà che regolamentano il lavoro dipendente.
Nell’ordinamento italiano sono previste tre tipologie di licenziamento: per giustificato motivo soggettivo, per giustificato motivo oggettivo e per giusta causa.
Di queste tre, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e il licenziamento per giusta causa sono due forme di licenziamento disciplinare che si distinguono unicamente per la gravità della condotta del dipendente che porta al licenziamento e per il preavviso, che nel licenziamento per giusta causa (c.d. in tronco) non è previsto.
La prestazione lavorativa è normalmente regolata da un contratto tra il datore di lavoro e il lavoratore che prevede, per quest’ultimo, una serie di obblighi che con la sottoscrizione si impegna a rispettare.
Il lavoratore si impegna quindi, in virtù del vincolo di subordinazione rispetto al datore, a svolgere la prestazione lavorativa per la quale è stato assunto e deve rispettare inoltre obblighi di obbedienza, di fedeltà e riservatezza, di diligenza.
Il rapporto si basa inoltre su un vincolo di fiducia che deve giocoforza instaurarsi tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Il diritto tutelato, nel caso di questo negozio, è quello del datore di lavoro a vedere esattamente eseguita la prestazione lavorativa. Il lavoratore, per parte sua, ha invece il diritto a essere remunerato per la prestazione.
Le cause del licenziamento disciplinare si identificano come abbiamo detto, principalmente nella giusta causa e nel giustificato motivo soggettivo.
Entrambi i licenziamenti fanno riferimento a condotte poste in essere dal lavoratore, la cui gravità è così grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, impedendo la prosecuzione del contratto di lavoro. Analizziamoli nello specifico.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è sancito dalla legge 604/1966 che all’art. 3 prevede che questo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro.
Che cosa si intende per “notevole inadempimento”? Il lavoratore deve essersi reso responsabile di condotte così gravi da non giustificare un semplice richiamo, una multa o altro provvedimento disciplinare e soprattutto deve essere venuto meno agli obblighi previsti dal contratto di lavoro.
Vale a dire che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo può essere comminato per scarso rendimento, per assenze ingiustificate o giustificate con motivazioni non veritiere, per inottemperanza alle direttive del datore di lavoro, per una sopravvenuta invalidità o malattia (decorsi i termini previsti dalla legge) e per una serie di altre cause.
Questo tipo di licenziamento si distingue da quello per giusta causa perché viene adottato quando la condotta non è così grave da sospendere immediatamente il rapporto di lavoro e soprattutto deve essere comminato con un preavviso, solitamente stabilito dalla legge o dai contratti collettivi.
Il preavviso consente al dipendente di venire a conoscenza delle motivazioni che hanno condotto il datore a licenziarlo e di impugnare il provvedimento. Il lavoratore può infatti contestare, anche in sede giudiziale, la decisione del datore di licenziarlo. In ogni caso, a pena di nullità, il licenziamento deve essere comunicato per iscritto.
Conosciuto spesso come licenziamento “in tronco” perché non prevede alcun preavviso, questo tipo di licenziamento determina l’immediata interruzione della prestazione lavorativa e viene comminato per gravi inadempienze da parte del dipendente.
Si tratta qui di condotte particolarmente evidenti che fanno, di fatto, venire meno in capo al datore di lavoro l’interesse a vedere eseguita la prestazione lavorativa.
È quanto accade nel caso di gravi o reiterate insubordinazioni nei confronti del datore di lavoro o di un superiore gerarchico, nel caso di appropriazione indebita di beni affidati in custodia al dipendente o beni aziendali a lui affidati per l’esercizio delle mansioni, per i falsi permessi o per la falsa malattia e per tutte quelle situazioni in cui il rapporto di lavoro non può più proseguire, essendosi incrinato il vincolo di fiducia che lega datore e lavoratore.
Anche in tale caso, pur non essendo previsto un preavviso, il lavoratore ha la possibilità di opporsi e di impugnare il provvedimento ma il licenziamento interrompe comunque la prestazione lavorativa a partire dal momento in cui viene comunicata al lavoratore, anche qui per iscritto a pena di nullità.
Alcune cause, a titolo di esempio, possono essere:
Il Ministero del Lavoro, ha chiarito che a seguito di un licenziamento disciplinare un soggetto ha il diritto di ricevere la Naspi, se rispetta i requisiti previsti dalla legge.
La NASpI (indennità di disoccupazione) infatti è un diritto che spetta a tutti i lavoratori che hanno perduto involontariamente l’occupazione, indipendentemente dal fatto che sia stato licenziamento per motivi disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo).
Se si tratta di un licenziamento disciplinare illegittimo il lavoratore ha la possibilità di contestare la decisione dell’azienda.
Il dipendente, una volta ricevuto il licenziamento disciplinare, avrà 60 giorni per impugnare il licenziamento e successivi 180 giorni per fare ricorso presso il Tribunale del Lavoro competente.
L’art. 5 della l. n. 604/1966, in accordo con quanto previsto dall’art. 2697 c.c., pone l'onere della prova in relazione alla sussistenza della giusta causa - o del giustificato motivo - di licenziamento a carico del datore di lavoro. Stante la gravità delle condotte che legittimano la disposizione del provvedimento in esame, tale onere comporta che il datore di lavoro fornisca prova certa di tutti gli elementi della fattispecie, dal momento che il nostro ordinamento non prevede la possibilità di disporre un licenziamento per giusta causa fondato esclusivamente su prove indiziarie non adeguatamente verificate.
Riferimenti normativi
Legge 604/1966
Legge 300/1970
Art. 2119 c.c.
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