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Il licenziamento ai tempi del Covid-19

Con il Decreto Cura Italia vengono temporaneamente sospesi i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Il datore di lavoro potrà comunque procedere con il licenziamento del dipendete in alcuni casi specifici. Scopriamo insieme quali.

La riduzione dei consumi e della produttività in seguito alla chiusura delle attività per l’emergenza coronavirus ha portato il Governo, con il D.L. n.18/2020, a sospendere temporaneamente la possibilità per i datori di lavoro di disporre licenziamenti collettivi e individuali per motivi economici.

La sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo si aggiunge alle altre tutele previste per i dipendenti in caso di malattia, infortunio o gravidanza: in particolare, l'art. 2110 del Codice civile stabilisce l’impossibilità per il datore di lavoro di disporre provvedimenti disciplinari a loro carico, compreso il licenziamento. L’articolo in esame fa riferimento al c.d. periodo di comporto, durante il quale il lavoratore viene tutelato contro l’eventuale decisione dell’azienda di interrompere il rapporto per il solo perdurare della malattia.

Tuttavia, esistono situazioni per le quali il licenziamento del dipendente malato - anche durante il periodo di comporto - non si scontra con i divieti stabiliti dalla legge, essendo legittimato da situazioni estranee alla malattia.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il dipendente non può essere licenziato per cessazione totale dell’attività d’impresa, in caso di crisi  o di ristrutturazione aziendale: il c.d. licenziamento collettivo è stato sospeso a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto Cura Italia - 17 marzo 2020 - per un periodo di 60 giorni. Di conseguenza, non sarà possibile disporre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo legato a dinamiche organizzative, produttive e socio-economiche: così dispone l’art.46 del decreto recante “Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo”.

Il D.L. n.18/2020 ha sospeso la possibilità per il datore di lavoro di avviare nuove procedure di licenziamento quando sia sopravvenuta l’inidoneità - anche parziale – del dipendente malato allo svolgimento delle mansioni assegnate, per ragioni che non dipendono dalle condizioni lavorative.

In tal caso, infatti, il licenziamento sarebbe disposto per ragioni puramente economiche e non disciplinari, basandosi su un giustificato motivo oggettivo e non soggettivo, non riconducibile in alcun modo ad una grave condotta tenuta dal dipendente.

Al termine della sospensione disposta dal decreto, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà dimostrare l’impossibilità di ricollocare il dipendente malato ad altre mansioni, in virtù del c.d. obbligo di repechage.  

Quando è lecito licenziare un dipendente durante il Covid?

Ma quando è possibile licenziare un dipendente durante il periodo Covid? Il datore di lavoro potrà sempre recedere dal rapporto con un dipendente in malattia al termine del periodo di comporto e per giusta causa. Analizziamo i tre casi nel dettaglio.

1) Il superamento del periodo di comporto

Il Decreto “Cura Italia” non preclude al datore di lavoro la possibilità di recedere per superamento del periodo di comporto, in quanto tale ipotesi non rientra nella casistica dei licenziamenti legati a ragioni economiche. L’art. 26 del D.L. n.18/2020 prevede che il periodo trascorso in quarantena - anche precauzionale - o in permanenza domiciliare fiduciaria sia equiparato alla malattia ai fini della fruizione del trattamento economico, non risultando però computabile ai fini del periodo di comporto.

L’art. 2110 del Codice civile tutela il dipendente assente per malattia o infortunio, riconoscendogli il diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo fissato dalla legge o dai contratti collettivi: di conseguenza, il licenziamento esclusivamente disposto a causa del perdurare della malattia durante il periodo di comporto risulta illegittimo. I contratti collettivi possono stabilire un periodo di comporto superiore a quello previsto dalla legge, applicabile in quanto condizione maggiormente favorevole al lavoratore, con riferimento ad un unico ed ininterrotto evento (c.d. comporto secco) o alla sommatoria di più malattie (comporto frazionato).

Al termine del periodo di comporto, l’azienda avrà la facoltà di licenziare il proprio dipendente senza dover provare l’esistenza di una giusta causa o di altro giustificato motivo, comunicandogli tempestivamente la decisione in forma scritta e specificando i giorni di assenza per malattia (1); al contrario, potrà decidere di mantenere il dipendente in forza senza dover compiere alcun adempimento formale, in virtù dell’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il superamento del periodo di comporto risulta condizione necessaria anche per legittimare il licenziamento del dipendente per scarso rendimento dovuto al perdurare della malattia (2). Per valutare la netta sproporzione tra obiettivi previsti e risultati raggiunti, la giurisprudenza ha stabilito la necessità di prendere in considerazione un ampio arco temporale, non limitandosi all’analisi di singoli eventi.

Il lavoratore non rischia il licenziamento al termine del periodo di comporto solo quando la malattia è riconducibile ad un evento imputabile all’azienda, come la mancata adozione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro: in tal caso, l’assenza del dipendente non è soggetta a limiti e quest’ultimo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro anche oltre la scadenza del periodo di comporto.

2) Licenziamento per giusta causa

Il datore di lavoro può legittimamente licenziare un dipendente in malattia quando i motivi a fondamento del provvedimento sono riconducibili ad una condotta talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto: in tal caso, il licenziamento può essere disposto senza preavviso al lavoratore.  

La finta malattia è una delle ipotesi più ricorrenti che giustifica la legittima disposizione di un licenziamento per giusta causa, dal momento che l’evento rende impossibile la prosecuzione – anche temporanea – del rapporto di lavoro ex art. 2119 del Codice civile.

Di conseguenza, il datore di lavoro può legittimamente procedere al licenziamento per giusta causa, a condizione che riesca a dimostrare la simulazione della malattia.

L’accertamento di tale circostanza può essere ottenuto attraverso un’investigazione finalizzata all'acquisizione delle prove che dimostrino la falsa malattia ad opera di un’agenzia investigativa: anche nel caso in cui la malattia sia attestata da un certificato medico, la falsità della stessa rimane giusta causa di licenziamento (4).

Uno degli strumenti di verifica atto a controllare che il dipendente sia effettivamente malato consiste nelle visite fiscali previste dallo Statuto dei Lavoratori, con l’obiettivo di accertare la reperibilità nel proprio domicilio o l’eventuale simulazione della malattia per scopi personali.

Il licenziamento è legittimo  anche in caso di abuso delle assenze per malattia, comunicate sistematicamente all’ultimo momento e a ridosso dei giorni di riposo del dipendente (5). In questo caso, il comportamento del lavoratore è tale da recare un grave pregiudizio all’organizzazione aziendale, in quanto il datore di lavoro è impossibilitato - di fatto - ad attivare il controllo ispettivo per verificare lo stato di malattia.

Inoltre, lo svolgimento di qualsiasi attività - sia essa domestica, lavorativa o ricreativa - che possa ritardare la guarigione del dipendente malato giustifica il recesso unilaterale del datore di lavoro, dal momento che risulta meritevole di tutela l’esigenza di riavere in servizio attivo il dipendente nel minor tempo possibile (6).

3) Altri casi di licenziamento in malattia

Il lavoratore può essere sempre legittimamente licenziato durante la malattia alla scadenza del contratto a tempo determinato, in assenza di proroga o rinnovo. Inoltre, il datore di lavoro può disporre il licenziamento del lavoratore malato in prova, quando il mancato superamento di tale periodo risulti indipendente dalla malattia.

Infine, l’apprendista giunto al termine del periodo di formazione può essere legittimamente licenziato anche se in malattia: di conseguenza, quando ricorrono le sopracitate circostanze, il datore di lavoro non è più tenuto a corrispondere la retribuzione al lavoratore malato.

Autore: Alessandro Pugno


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