L’illecito commesso dal lavoratore configura una grave violazione nell’ambito del rapporto di lavoro tale da giustificare la sanzione più severa: il licenziamento.
Un dipendente che utilizzi impropriamente il cartellino o badge di riconoscimento personale e di registrazione dell’entrata/uscita dall’azienda può incorrere in un licenziamento per giusta causa – c.d. licenziamento in tronco – in quanto tale condotta risulta tale da inficiare il rapporto di lavoro tra datore e lavoratore.
Il contratto di lavoro subordinato si basa infatti sul vincolo fiduciario che si stabilisce tra datore e lavoratore. Il lavoratore è inoltre tenuto ad eseguire la prestazione professionale oggetto del contratto con diligenza.
L’ordinamento italiano prevede due forme di licenziamento disciplinare: il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, solitamente comminato per condotte non particolarmente gravi del lavoratore e il licenziamento per giusta causa che interrompe immediatamente il rapporto di lavoro e viene riservato alle condotte particolarmente gravi messe in atto dal datore di lavoro.
Il licenziamento per giusta causa avviene senza preavviso e non prevede indennità di preavviso né di licenziamento anche se il dipendente può comunque fare opposizione al provvedimento presso il giudice del lavoro.
Il dipendente incorre in questa sanzione quando la sua condotta viene ritenuta particolarmente lesiva degli interessi aziendali e fa venire meno la fiducia che deve sussistere da parte del datore.
In sintesi, il datore di lavoro, a causa della condotta, perde interesse a vedere eseguita la prestazione professionale e può interrompere immediatamente il rapporto.
La Cassazione, ritiene giustificato il licenziamento in tronco dei furbetti del cartellino anche nell’ambito del lavoro in aziende private, indipendentemente dalla gravità della condotta e del danno arrecato, in quanto a venire meno è il rapporto fiduciario tra azienda e dipendente.
Il dipendente che timbra il badge di ingresso e abbandona il posto di lavoro o fa timbrare un collega al posto suo, due delle condotte più diffuse, commette quindi un illecito grave indipendentemente dalla durata della sua assenza dal posto di lavoro. Lede infatti l’interesse aziendale a vedere eseguita esattamente la prestazione professionale oggetto del contratto, una prestazione che non può essere altro che personale.
In una recente sentenza la Corte di Cassazione – la n. 10239 del 18 aprile 2023, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa comminato a un dipendente che faceva timbrare il proprio collega al posto suo.
Il giudice delle leggi ha riconosciuto oggettivamente grave la condotta del dipendente che, in modo truffaldino, intendeva far pensare di essere al lavoro quando invece non era ancora presente sul proprio posto.
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